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I pali alti di Rovigo e il sei nazioni

Varie
Postato: Monday February 4th @ 9:37AM CET
Roberto Guerreschi scrive:
Bello il sei nazioni sabato, le ho viste le partite, sì, è tornato il rugby internazionale, quello vero,quello ancora intriso di una certa tradizione, anche se la modernità molto ha cambiato in questo sport duro e antico

Bello il sei nazioni ,sì, ma...io ho in mente ancora Paolini.
Marco Paolini, l’attore, che venerdì sera in tv ha “interpretato” il rugby.

Era facile scadere nella retorica: il fango, il sudore, la mischia, metafore della vita ,con il terzo tempo dove tutti diventano amici come per magia.

Ultimamente non sopporto più sentire parlare di terzo tempo, panacea di tutti i mali dello sport.

Paolini ,quando è stato costretto, ha usato i luoghi comuni del rugby, con pertinenza, mostrandosi profondo conoscitore della disciplina, sottolineando le sfumature tra il rugby odierno e quello di ieri.

Il rugby di ieri, quello della sana provincia italiana, il nostro rugby.

Un rugby lontano dalle maglie piene di sponsor fino al fondoschiena, senza oriundi e con pochi stranieri, venuti perlopiù da pionieri a portare il verbo da oltremanica o da oltralpe.

Della maglia a strisce orizzontali o in tinta unita, stinta dopo troppi lavaggi, non v’è rimasta traccia.

La nazionale eccelle nel sei nazioni , i tesserati aumentano,eppure qualcosa manca.

Ancora Paolini: descrive un drop improvvisato, la traettoria balistica, la parabola discendente che sembra lasciarti in apnea fino a quando l’ovale non oltrepassa la traversa dell’acca, sopratutto se i tre punti ti servono per passare in vantaggio.

La mischia vissuta da dentro, con l’immancabile sfregamento di orecchie e di genitali, i dialoghi poco amichevoli tra piloni avversari, il balletto del tallonatore per conquistare la palla non sono nuovamente retorica, ma poesia se raccontati in quel modo.

E mentre si parla di rugby, nella rappresentazione teatrale, un excursus , sulle battaglie politiche giovanili dei passati decenni nelle quali tutti i liceali e gli universitari di un tempo erano più o meno impegnati.

Destra o sinistra che fosse, tutti avevano, un ideale da seguire delle parole da spendere, e il rugby , lo sport , così come il fango si impastava con i sentimenti della gente sui campi di periferia o negli oratori.

Tra i fautori del rugby potevi incontrare preti ,seminaristi o dei sindacalisti delle fabbriche di Marghera che leggevano nello spirito di gruppo del gioco, messaggi evangelici o teorie sociali più o meno valide a secondo dei gusti.

Ecco questo è il rugby che ci manca, questo è il fermento che ci manca.

Marco,l’attore, conclude con un “balletto”mimando i gesti della partita e dell’allenamento vestito della magli rossa della “Iole”la sua squadra.

La maglia per effetto scenico è sporca di fango, il regista, qualche ora prima l’aveva ad arte “decorata”con l’argilla del campo fuori dal teatro.

Durante il balletto tra le luci del palco il fango si stacca, si tramuta in polvere, la cosa magari non è neanche voluta, ma quella polvere è straordinaria, ti sembra di respirarla, ti ricorda quella inalata nei campi in aprile ,quando il“caligo”,la nebbia e il freddo dell’inverno sono ormai un ricordo.

Quella polvere è un cameo, un icona contrapposta: il passato che se ne va inesorabilmente o la magia di una speranza che aleggia profumata d’antico nell’aria.

Il lungo, interminabile ,applauso finale ti lascia con sentimenti opposti, tutto è perduto?

I nostri amici giocheranno in quattordici, o ancora un volta il gruppo si ricompatterà, tutti uniti fino alla meta.

Una cosa è certa noi seguaci di William Web Ellis sappiamo sempre che c’è bisogno di qualcuno che prenda la palla con le mani fra lo stupore di tutti, qualcuno che si fa venire in mente qualcosa di nuovo, per risollevare le sorti della partita, del gioco e forse non solo di quello.

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